QUO VADIS? Spunti di vista per un “logo-cammino” o cammino di senso
E’ capitato a tutti nella vita di avere uno o più momenti di smarrimento e disorientamento, di trovarsi di fronte a bivi e dover scegliere la direzione, magari davanti ad una segnaletica dove le alternative sono un percorso conosciuto e certo ed uno sconosciuto e incerto e, per questo motivo, spesso scoraggiante. Capita ad ogni età: quando si è giovani ed alle prese con le prime esperienze e i processi di responsabilizzazione e di scelta, ma capita anche da adulti quando “nel mezzo del cammin di nostra vita” ci si può ritrovare – come diceva Dante – “per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”.
La recente pandemia ci ha poi messo tutti per certi versi di fronte ad un generale smarrimento.
Emblematica è la storia raccontata da Gianni Rodari in “La strada che non andava in nessun posto”. Si racconta, infatti, che all’inizio di un paese ci fossero tre strade: una portava al mare, una in città e la terza, appunto, – si diceva – “non andava in nessun posto”. Il protagonista, un bambino di nome Martino mosso da curiosità e determinazione, per la quale fu poi soprannominato Martino Testadura – una volta cresciuto (tanto da non dover più dare la mano ad un adulto!) decide di imboccare e percorrere la strada sconosciuta e misteriosa. La strada si rivela subito dissestata e con ostacoli che rendono difficile il cammino, lungo e faticoso, tanto che Martino stesso si sente sopraffatto dallo scoramento. Proprio in quel momento di debolezza arriva un segno: un cane gli viene incontro scodinzolando. Martino coglie quel segno: “dove c’è un cane c’è una casa..o perlomeno un uomo!”. La curiosità si riaccende e Martino si rende disponibile a quell’invito a seguirlo: il bosco pian piano si apre, si intravede un cancello e infine un castello. Alla finestra del castello una bella signora pare aspettarlo (ha fiducia che arriverà!) e lo invita ad entrare, felice che Martino non abbia creduto alla storia della strada che non andava in nessun posto. Martino d’altronde sa “che ci sono più posti che strade”; intuizione alla quale fanno eco le parole della bella signora: “basta aver voglia di muoversi!”. Martino ritorna al paese carico di doni e tesori che dispenserà a tutti, amici e nemici, ma dopo di lui chi tenta la stessa impresa, la stessa strada, ritorna sconfitto e a mani vuote. Nel finale si dice appunto: “certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova”.
La favola e la sua morale contengono non una ricetta di vita, ma alcuni ingredienti, a mio parere, fondamentali della nostra esistenza in quanto esseri umani:
1) la curiosità: motore di ogni viaggio;
2) uno sguardo ampio, che comprende anche ciò che non è scontato o preconfezionato;
2) il CORaggio che non è temerarietà, assenza di paura, ma accettazione del rischio rispetto a qualcosa di più grande che ci convoca;
3) la motivazione (ciò che muove una decisione orientando pensieri e ed azioni) e la determinazione (decisiva presa di posizione della volontà) nel cercare di capire ed andare a fondo non fermandosi alla superficie delle cose;
4) la disponibilità a mettersi in gioco e a cogliere i segni/ significati che costellano la nostra vita;
5) il mettere in conto: fatica, dolore, momenti di scoramento come parti di un vero percorso;
6) la condivisione: siamo esseri relazionali!
Infine, ne emerge che ognuno di noi ha la sua strada, il suo percorso, il suo viaggio.
Questi aspetti si ritrovano anche nella logoterapia di Viktor Frankl, ispiratore della mia pratica di counselling. Egli infatti sostiene che ogni vita sia unica e irripetibile e abbia un unico ed irripetibile significato e che sia, altresì, possibile aiutare la persona ad individuare e recuperare il significato della propria esistenza, il senso profondo di ciò che si è e di quello che si fa, la propria “vocazione”, la propria strada.
Come nella favola, il senso va trovato, non può essere indicato, e poi va percorso, passo dopo passo, attraverso scelte ed azioni.
Il counselling può essere un percorso nel percorso in cui aprire il proprio sguardo, risvegliare la curiosità del “conoscere se stessi” e il mondo, fare alcuni passi insieme – allenando e affinando la propria coscienza (intesa nella logoterapia quale organo di senso) – per poi sperimentarli da soli e decidere di camminare -senza la mano di qualcun altro- nonostante la fatica, le inevitabili sofferenze o sfide della vita.
“Tutto si trasforma” o si può imparare a farlo, scegliendo l’atteggiamento con cui porsi di fronte ai fatti della vita. Ma questo sarà spunto per il prossimo articolo!
Grazie per l’attenzione.
Cinzia