PIENO DI SPERANZA
Come si fa il pieno di speranza? E perché soprattutto ultimamente ci sembra di esserne sempre in riserva o addirittura a corto?
E cos’è la speranza? Illusione o illuminazione? Meta o cammino?
Queste le domande alle quali abbiamo cercato di rispondere con il percorso di quattro incontri sul tema della speranza proposto presso il Colab (luogo di prossimità dove condividere tematiche inerenti la salute mentale e il benessere psicosociale) che si è concluso ad inizio dicembre. Un nutrito gruppo di 16 persone, tra giovani e meno giovani, studenti ed “esperti per esperienza” (persone che hanno provato disagio psichico e aiutano altri, attraverso la testimonianza, ad affrontarlo) e in generale persone che cercano una piccola luce da seguire nella loro vita, ha attraversato le tappe di questo percorso dal buio alla luce, mettendosi in gioco in quello che non voleva proporsi come corso, ma come “palestra” o laboratorio in cui si connettono significati ed esperienze.
Non esiste un distributore di speranza, ma quello che è emerso è che il rabbocco o il pieno lo si fa INSIEME attraverso il con-corso, la con-divisione e il con-certo di più persone. Si fa con l’unione di fili di diverso colore per tessere e ritessere la trama e l’ordito della nostra storia e della storia di ognuno.
Si tesse per proseguire un disegno o per tracciare nuovi scenari e nuove traiettorie di senso; si ritesse, si rammenda o si ricama per riparare e valorizzare i vuoti e gli sfregi dell’anima, per ridare un senso a ciò che si è vissuto, per ri-significare la vita. La narrazione, anche nella sua forma scritta, è una modalità efficace per farlo perché il racconto di sé, della propria storia e delle proprie emozioni genera trame di cura sulle quali è possibile, attraverso l’ascolto in profondità e la condivisione, tessere legami di libertà.
Secondo l’orientamento della logoterapia, l’uomo è sempre in cammino, in tensione verso un dover essere che non è mai completamente raggiunto. Per Viktor Frankl, infatti, la ricerca del significato non è qualcosa che possiamo saziare, è una ricerca continua. Una ricerca che si nutre sicuramente di una fondamentale esigenza di senso – la volontà di significato – ma anche di speranza, prospettiva, il tendere verso una meta.
La risposta ai nostri quesiti iniziali è sempre in evoluzione e si tramuta in una Domanda perpetua che ci invita a non rimanere fermi: non “perché soffro (o ho sofferto)” ma “per-che-cosa”. Si tratta, cioè di guardare ciò che mi accade o mi è accaduto sotto altri punti di vista per riconoscerne un fine, una leva che possa ribaltare l’ostacolo per trasformarlo un opportunità. La domanda fondamentale è, allora: “Che senso dare alla mia vita NONOSTANTE i limiti e le sofferenze?”. Il recupero del senso, sempre strettamente personale, alimenta un percorso di speranza e innesca quel circuito virtuoso che conduce a vivere col coraggio della speranza i periodi più bui.
Le “teorie” offrono spunti, orizzonti a cui tendere, ma la vera linfa arriva dal confronto delle esistenze, dai tracciati delle esperienze, dalle biografie in quanto storie di vita e dalle poesie in quanto moti dell’anima, dalle parole nuove e dalle immagini che prima non sembravano possibili.
Nell’acronimo dei nomi alla luce della speranza … tutte le parole le portiamo nel cuore e nel nostro lavoro di perenne “ricerca”. Ne citiamo solo alcune:
illuminata, inizio, nuova, rinascita, accettazione, ricercare, ancora, lavorarci, guardare, apertura, desiderio, cambiamento, essere, agire, ascolto, libertà.
Cinzia e Mariella