IL LAVORO PIU’ BELLO DEL MONDO
LAVORO, SOGNO E RICERCA DI SENSO
Il lavoro più bello del mondo. Qual è?
E’ quello in cui si può scegliere “chi essere” e in cui, al contempo, andare “oltre se stessi”, come capacità di donazione di sé e consapevolezza di avere un compito che noi e solo noi possiamo realizzare nel mondo.
E’ quello in cui sentire e far sentire la propria voce.
La nostra firma, il nostro potere di lasciare traccia visibile e tangibile nel mondo e negli altri.
Un visitatore entrò nel cantiere dove nel Medioevo si stava costruendo una cattedrale. Incontrò un tagliapietre e gli chiese: “Che cosa stai facendo?” L’altro rispose di malumore: “Non vedi, sto tagliando delle pietre”. Così egli mostrava che considerava quel lavoro increscioso e di poco valore. Il visitatore passò oltre e incontrò un secondo tagliapietre; anche a questo egli chiese cosa faceva. “Sto guadagnando di che vivere per me e per la mia famiglia”, rispose l’operaio in tono calmo, mostrando una certa soddisfazione. L’altro proseguì ancora e, trovato un terzo tagliapietre, gli rivolse la stessa domanda. Questi rispose gioiosamente: “Sto costruendo una cattedrale”.
Egli aveva compreso il significato e lo scopo del suo lavoro, si era reso conto che la sua opera umile era altrettanto necessaria quanto quella dell’architetto e quindi in un certo senso aveva lo stesso valore della sua. Perciò eseguiva il suo lavoro volentieri, anzi con entusiasmo.
(Roberto Assagioli, “Per vivere meglio”)
Come il terzo tagliapietre, ho sempre visto il mio lavoro di educatrice come qualcosa di importante e straordinario, anche se non sempre adeguatamente valorizzato. Ho imparato nel tempo a farmi guidare da quella fiammella presente in ogni persona (il talento, il desiderio, il sogno) per riannodare i fili di trame talvolta interrotte o sfilacciate.
L’incontro con le persone è dimensione alchemica in cui tutto è possibile, se disposti a “sporcarsi le mani” ed entrare insieme nel gioco. Attraverso il mio ruolo sento che posso contribuire al progetto di vita della persona, a dipanarne la storia affinché trovi il suo corso, a disseppellire talenti e risorse, e -a volte- ad intrecciarli con i sogni. Tutto questo senza eludere i problemi e gli ostacoli, ma prendendoli in carico in un percorso di ACCOMPAGNAMENTO. In questo caso, di accompagnamento al lavoro.
“Che cosa sognavi di fare da piccolo/a? Qual era la passione che ti accendeva?”
Ecco, accendere quella passione o farla ritrovare all’interno di ciò che si deve fare (soprattutto se per stringente necessità) è mettersi al servizio di un progetto di vita degna e pregna di senso.
Anche il sogno più ambizioso, come fare l’astronauta, contiene traccia dei nostri talenti. La persona probabilmente non farà l’astronauta, ma insieme si potrà capire come tenere parte di quel sogno dentro la vita reale, adattandolo al qui ed ora. Ci si avventura così insieme in quello che viene chiamato “bilancio di competenze” (valutazione delle risorse e dei limiti personali).
A proposito della domanda sui sogni futuri, c’è chi con una laurea in matematica e un lavoro in banca alla domanda risponde: “fare il cuoco”.
“E perché hai fatto altro?”
“Perché qualcuno in famiglia già ricopriva quel ruolo, perché è un lavoro di prestigio e forse con meno sacrifici”.
“Sei felice?”
E qui si apre tutto un altro capitolo, perché essere felice in fondo, come richiama la stessa etimologia, è essere fecondi, dare i propri frutti (genuini e non modificati).
Ma si può anche provare a rintracciare o esprimere, in ciò che si fa, “chi si è” o “chi si vuole essere”.
Così Violette, protagonista del libro “Cambiare l’acqua ai fiori”, è stata in grado di rintracciare in un lavoro umile e socialmente sottostimato – la guardiana di un cimitero – il suo personale significato; qualcosa che lo rendesse più simile a lei, alla sua qualità dell’essere, nonostante la schiacciante necessità.
Non solo nei libri, ma anche nella vita reale ho incontrato persone che sanno vivere la loro professione con “gusto” e significato: il postino che mi consegna le raccomandate e che non lesina mai un sorriso e una frase gentile (quand’anche mi recapiti una multa); il responsabile di banca che mi accoglie come una persona e non solo una “cliente”; il medico che mi ascolta e non solo mi prescrive la cura; la cassiera del supermercato che, pur nella frenesia di un tempo che tutto consuma e ci consuma, mi guarda, mi vede trafelata e con dolcezza mi dice “faccia con calma, non si preoccupi” e mi restituisce fiato e una comprensione che ancora mi porto addosso; l’insegnante di educazione tecnica con la passione del teatro che negli anni delle medie mi ha fatto conoscere quest’arte e mi ha fatto emergere da uno stato di esasperata timidezza o l’addetto di un qualunque sportello che sa trascendere i confini spesso ingessati del suo ruolo con un gesto di gentilezza. Potrei continuare ancora con tanti altri esempi che sono rimasti impressi nella mia memoria.
Spesso non è cosa fai ma COME lo fai a rendere il tuo lavoro straordinario, unico e utile. Ovvero, c’è un “pezzo” di altro (umanità, entusiasmo, ascolto…), un “di più”, che si può sempre aggiungere all’ordinario per fare meglio e, a nostra volta, vivere meglio quello che si fa o si deve fare. Oggi invece pare (non per tutti si intende) che fare il minimo sindacale sia sufficiente e legittimo, perché la vita è fuori dal lavoro e non più anche dentro.
Si pensa che il lavoro sottragga tempo al vivere invece di poter essere un luogo di espressione di sé, della propria generatività.
Inoltre, riprendendo la parabola riportata da Assagioli, se non ci fosse nessun tagliapietre non ci sarebbe nessun architetto o ingegnere che potrebbe veder realizzato ciò che progetta. Ognuno è un tassello insostituibile (se così sceglie di essere!) di un mosaico complesso ma perfetto.
Va infine detto che quasi nessuna condizione inchioda ad un destino inamovibile, perché noi possiamo nel piccolo o nel grande trasformare la nostra vita, evolvere da una situazione, informarci e formarci per migliorarci, mettendo in campo il meglio delle nostre possibilità. Lo testimonia Adunni, protagonista del libro “La ladra di parole”, con la voglia di riscattarsi da una condizione difficile e svilente e di imparare a parlare un buon inglese per costruirsi un altro futuro, facendo emergere la SUA voce.
Nulla arriva senza impegno e fatica, perché spesso è la fatica la misura della nostra felicità futura.
FAI DELLA TUA VITA UN CAPOLAVORO: questa è una scelta, ma è anche il dovere più bello che possiamo imporci, ricordandoci che “finché l’ultima battuta non è stata pronunciata, il sipario non può essere calato …” (dal film Jakob il bugiardo).
E’ nostro dovere come cittadini e come professionisti fare in modo che tutti abbiano possibilità di scelta, che la vita non sia un binario unico su cui essere collocati da altri ma che, in qualsiasi condizione, tutti possano non solo fare un lavoro, ma anche scegliere “chi essere” in quel lavoro. Purtroppo molti non hanno ancora le chiavi per l’ accesso a questo grado di libertà.
Insieme è sempre l’altra cifra del sogno!