BENEDETTA PRIMAVERA

O l’arte di sbocciare

In una tiepida giornata di maggio una bambina di nome Margherita, estraniandosi dal chiasso e dalle corse dei bambini nell’ora di ricreazione, parla ad una coccinella che tiene su una fogliolina. E’ tutta presa dalla sua nuova amica e, mossa dal desiderio di cercare un suo simile che possa farle compagnia, scruta sotto il cornicione del muretto per vedere se, a suo dire, “è sbocciata” qualche altra coccinella.

La stavo osservando quasi rapita da questi gesti semplici ed amorevoli e dalla “pazienza” che li accompagnava. All’epoca la bambina aveva 6 anni e quella parola pronunciata a mezza voce nel suo gioco solitario mi ha fatto sorridere ma anche riflettere: è questo il senso ed il compito di tutta una vita? Sbocciare? Aprirsi a poco a poco come un bocciolo a primavera e manifestarsi?

Alle porte di questa primavera che ci annuncia la “rinascita”- una promessa mai disattesa nell’alternarsi delle stagioni – porto con me questa immagine ripescata nella memoria ed il pensiero e l’invito che ne segue.

Sbocciare è portare alla luce ciò che intimamente ci appartiene, è risvegliarsi da un torpore che non ci permette di uscire allo scoperto, è il coraggio di mettere in campo i propri talenti e i propri sogni .

Viktor Frankl diceva: “La persona si esplica, si srotola come un tappeto che quando è tutto dispiegato svela il suo disegno originale e irripetibile”. E allora avranno senso anche tutti quei nodi e quei fili intrecciati che spesso si ritrovano sul rovescio del tappeto e che al momento non riusciamo ad interpretare.

Uscire allo scoperto, risvegliarsi dal torpore.

Decidere chi si è : ogni scelta e decisione ci costruisce, ci forma, come i mattoni per una casa.

Metter in campo libertà e responsabilità, inscindibili sorelle.

Sentire la vita in tutte le sue tonalità, attraverso l’ esercizio dei sensi.

Venire alla luce è viaggio meraviglioso: un viaggio concreto che determina la nostra esistenza così come un viaggio simbolico che matura nella consapevolezza del senso della vita e del nostro esserne protagonisti responsabili.

Se prendiamo in considerazione la nascita e il cammino della vita, venire alla luce implica sempre uno sforzo, un “trauma”, una difficoltà, perché si passa da una situazione rassicurante e conosciuta ad una situazione nuova e sconosciuta, pertanto appunto “minacciosa” (minaccia la nostra sicurezza). In questo “strappo”si soffre ma al contempo si respira, si prende nuova vita: c’è una primordiale paura che si fonde con il primordiale istinto di vivere, c’è separazione per preparare un nuovo incontro.

Nel venire alla luce si scopre se stessi ma al contempo la relazione, non come appartenenza ma come incontro di esistenze.

Abbiamo bisogno di una presenza rassicurante e di un contenimento fisico che ci faccia percepire il nostro confine e il nostro essere, che accolga la nostra esistenza e la custodisca nella sua iniziale fragilità.

Abbiamo poi bisogno di scioglierci dall’abbraccio  e di prendere la mano di qualcun altro per muovere i primi passi.

Abbiamo bisogno di seguire per imparare a stare accanto.

Infine, abbiamo bisogno di camminare in autonomia per poi segnare il passo  a chi verrà dopo di noi, per essere anelli  saldi di una catena inesauribile e sperimentare che il nostro essere è essenzialmente relazionale, in connessione costante con l’altro da noi e con la vita da cui fluiamo come correnti di uno stesso fiume.

Nonostante la nostra nascita sia quella più eclatante e visibile, questo atto si ripete più volte nel corso della vita, superando le prove, le difficoltà, i cambiamenti  e a volte le sofferenze, passando il guado tra una relativa stabilità ad una temporanea instabilità, andando in crisi e  sperimentando pertanto la primordiale sensazione di balìa tra pericolo/opportunità, tra morte  e vita. E nel processo di queste ri -nascite avviene la crescita  che non è altro che arrivare ad essere pienamente se stessi, rinnovando e affermando quell’originalità che ci è data come conditio sine qua non. Spesso però in questo percorso di evoluzione, dimentichiamo di essere unici e irripetibili, ci facciamo distrarre dalle “cose” e dalle “circostanze“, ci appiattiamo sulle condizioni e sui condizionamenti.  Perdiamo di vista la nostra unicità che è il valore di partenza della nostra esistenza ma anche la meta finale di una vita che abbia senso, in cui siamo chiamati ad una risposta – la responsabilità – e a un compito altrettanto unico e irripetibile, a beneficio di noi stessi e degli altri.

L’anelito che accompagna il nostro esistere come uomini e donne è essenzialmente spirituale: questa è la parte di noi che ci distingue dagli animali perché abbiamo la facoltà di agire con libertà e responsabilità decidendo ad ogni passo chi siamo e che direzione prendiamo.

Il counselling e la ricerca di senso, propria della logoterapia, possono sostenere non solo la fioritura ma anche la capacità di goderne!

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